Procedura Civile
I genitori perfetti
«Freddi e razionali all’eccesso. Capaci più di un’affettività cerebrale che non di autentica empatia!».
La Signora Angela stringeva quel foglio spiegazzato, di certo letto e riletto all’infinito, come se
avesse artigli da rapace al posto delle mani. I suoi occhi neri fiammeggiavano come giganteschi
punti esclamativi.
Quelle parole risuonarono nella mia stanza con il fragore di uno sparo. «Come fanno a dire queste
assurdità di me e di mio marito? Noi due che ci taglieremmo un braccio pur di darlo ad un figlio, se
solo ci consentissero di averlo!».
Il Signor Renato, che le sedeva accanto, prese la mano della moglie, con sguardo solidale e
comprensivo. «Ma chi sono questi Signori? Sono giudici minorili o strizzacervelli da quattro soldi?
Tutta colpa delle assistenti sociali. Parliamo di tre ragazzine, avvocato Mayer, fresche di laurea e
imbevute di dottrine sociali e concetti astratti, che vogliono trapanare i nostri cervelli con l’illusione
di capire come ci sentiamo, cosa pensiamo e cosa sogniamo. Chiunque pretenda di leggere nella
mente altrui è un folle!».
«Inadatti all’adozione!». Sbottò con asprezza la Signora Angela, riprendendo la parola. «Questo
dicono di noi, dopo mille sorrisi e strette di mano ipocrite. Lei non può immaginare, avvocato, come
queste tre parole ci feriscano nell’animo. Ma lo sanno che così lasciano soli bambini bisognosi di
aiuto? Da chi ricevono l’autorità morale per bollare gli altri di eccesso di razionalità?».
All’improvviso entrambi tacquero, lasciandomi la possibilità di respirare. Mi accorsi di essermi
immerso nell’apnea del loro dolore.
Li osservai in silenzio e avvertii un istintivo moto di complicità. Ho sempre solidarizzato con i
disperati, perché nei momenti più brutti della mia vita lo sono stato anche io. In fondo non siamo
tutti un esercito di disperati in marcia verso il campo della prossima battaglia?
«Vi capisco. La legge sull’adozione ha le sue illogicità! Gli antichi direbbero: dura Lex!».
Quelle mie parole, scontate e banali, non produssero nei miei interlocutori l’effetto sperato, tanto
che avvertii l’esigenza di spiegarmi meglio. «Non è finita qui. In quei fogli che avete letto non è
scritta la parola definitiva. Avete dieci giorni per fare reclamo in Corte d’appello. Vi intendete di
calcio? Ecco, diciamo che stiamo affrontando una doppia sfida in cui si è conclusa solo la partita
d’andata. Quella di ritorno, con me al fianco, la giocherete in casa. Fidatevi di me!». Forse ero stato
autocelebrativo, ma avrei fatto di tutto per rincuorare quelle due persone, così abbattute, che in uno
strano modo sentivo vicine.
Il Signor Renato, all’improvviso, mi squadrò con due occhi da serpente, tanto che avrei preferito
essere altrove. «Avvocato, ci fidiamo di lei. Facciamo questo reclamo, ma l’avverto. Se
Anche la Corte d’appello ci darà torto farò a modo mio, anche se mia moglie non è d’accordo.
Salirò in macchina e andrò fino a Bucarest. Mi infilerò nell’orfanotrofio più squallido. Sceglierò un
bambino e una bambina, quelli che mi sembreranno più infelici, e me li porterò a casa, a costo di
rubarli».
Quelle parole mi fecero sobbalzare sulla sedia.
La Signora Angela scosse la testa, con un sorriso sfinito. «Mio marito dice così, avvocato, ma non
lo farebbe mai. È un uomo molto buono».
Presi la parola con maggior decisione. «State calmi e affidatevi alla legge e ai mezzi che il nostro
ordinamento giuridico vi mette a disposizione. Mi metterò al lavoro sulla vostra pratica già domani,
ve lo prometto». Avevo veramente intenzione di farlo.
Presentai loro un preventivo, già scontato, di duemila e cinquecento euro più IVA e CPA, e indicai
un foglio prestampato con due linee continue sopra la dicitura “vera e autentica la firma”.
«Ho bisogno di una vostra firma sulla delega». Dissi a voce bassa. «Vi prometto che farò del mio
meglio».
Firmarono uno dopo l’altro, come in una lenta liturgia.
Mentre li scortavo lungo il corridoio, in direzione dell’uscita, notai che il Signor Renato si era
bloccato a metà strada. Fissava un mio attestato di frequenza ad un corso di penale commerciale,
che luccicava ospitato da un’elegante cornice.
«Lei è penalista?». Mi chiese con curiosità.
«Non solo».
«E di cos’altro si occupa?».
«Il penale è la mia passione, ma faccio anche diritto di famiglia». Risposi così, al solo scopo di
rincuorarli sul fatto che avessero trovato l’avvocato più adatto a risolvere il loro problema.
Ovviamente se fossero venuti da me per evitare uno sfratto avrei detto loro che mi occupavo anche
di locazioni.
«E perché non si dedica solo al penale?».
Se fossi stato sincero avrei risposto: “per far quadrare i bilanci dopo i fantastici viaggi organizzati
dalla mia fidanzata”. Ma preferii essere diplomatico.
«Perché amo studiare cose nuove. Non mi piace che la mente si fossilizzi. Le cellule cerebrali
devono rigenerarsi alla svelta».
Il Signor Renato mi sorrise, mentre mi stringeva la mano sulla soglia dello studio.
La Signora Angela mi lanciò un’ultima occhiata supplice. «Mi raccomando avvocato, non si
dimentichi di noi nei prossimi dieci giorni».
«Ma scherza, signora? Mi metto subito al lavoro per voi».
E lo feci davvero, perché quel caso mi interessava. A stuzzicarmi era l’ancestrale avversione che
provavo per lo schematismo e la mania di etichettare i sentimenti umani, come fossero barattoli del
supermercato, che si leggeva in tanti provvedimenti del tribunale per i minorenni.
Studiai con la massima attenzione il fascicoletto che conteneva la relazione psico sociale dei servizi
sociali del comune di residenza dei coniugi, come previsto dall’articolo 29 bis della legge 184/1983.
Lessi il paragrafo dedicato alla Sig.ra Angela Guerra.
Era figlia unica e diceva di avere avuto un’infanzia e un’adolescenza felici. Sua madre aveva fatto
la sarta e suo padre era stato un architetto del comune di Milano. Lei insegnava discipline pittoriche in
un liceo di Bergamo e poteva contare su un discreto stipendio. Diceva che la fede era la cosa più
importante della sua vita e collaborava assiduamente con la sua parrocchia. Era il componente del
consiglio pastorale eletto con il maggior numero di voti. Su incarico della scuola per cui lavorava
curava anche corsi di recupero estivi per gli studenti che si trovavano costretti a sostenere gli esami
di riparazione.
“Una donna praticamente perfetta”. Pensai.
Quanto al Signor Renato, veniva descritto dalle assistenti sociali come un uomo impeccabile
nell’aspetto, con la cravatta sembra annodata alla perfezione, dalla postura solenne. Aveva due
fratelli insieme ai quali gestiva un ristorante di pesce nella periferia Nord della città. Era iscritto ad
Amnesty International, organizzazione per la quale teneva banchetti promozionali, il sabato pomeriggio. La sera, una volta a settimana, teneva lezioni di cucina creativa per giovani, in un laboratorio astronomico del quartiere.
Chiusi il fascicoletto, sbuffando e chiedendomi che cosa mai, di quella coppia non avesse convinto
gli assistenti sociali.
Lessi con attenzione le motivazioni della relazione e, al punto tre, sottolineai una frase che mi
metteva i brividi: i candidati sembrano vivere la genitorialità più come un disperato bisogno personale che non come un consapevole e altruistico progetto di vita.
“Eh già” pensai “può essere vero, almeno per il Signor Renato, visto che l’immaginazione l’ha
spinto a vagheggiare persino un furto di bambini in un orfanotrofio di Bucarest”.
Eppure affermazioni così perentorie non mi convincevano affatto, forse perché ho sempre odiato
quella parola, “progetto”, spesso abusata nel circuito del diritto di famiglia, specie di quello
minorile.
La vita è davvero solo uno schema progettuale in cui allineare una fila di traguardi da raggiungere?
Non è piuttosto il meraviglioso trionfo della sorpresa, della scoperta e della gioia più improvvisa e
inaspettata?
Ho sempre guardato, con scetticismo, alla pretesa dell’uomo di essere fabbro del proprio destino ed
ho costantemente preferito i sentimenti spontanei a quelli calcolati come utili al raggiungimento di
un obiettivo predeterminato.
Ne parlai a cena con Claudia, mentre la mia forchetta preferiva tintinnare nel piatto, piuttosto che
affondare nello stufato d’asino. «Quei due mi fanno pena, nel senso buono del termine. Sento
istintivamente di essere dalla loro parte. Ci sono tanti bambini nel mondo che aspettano una madre e
un padre. Perché fare gli intellettuali a ogni costo? Vogliamo creare in laboratorio i genitori perfetti?
Crediamo davvero alla famiglia del mulino bianco? Meglio un genitore imperfetto che nessun
genitore. Ecco quello che scriverò domani nel mio ricorso!».
Claudia si sedette a tavola, dopo essersi tolta il grembiule, e mi sorrise con tenerezza. «Tu sarai un
padre perfetto. Ne sono convinta!».
Sentii all’improvviso un nodo alla gola e lo stufato d’asino mi apparve come un traguardo
irraggiungibile. Era incredibile come le inappellabili sentenze di Claudia, invece di darmi forza, mi
precipitassero sempre nella più totale insicurezza.
Non mi sentivo affatto pronto a ricoprire il ruolo di padre e speravo con tutte le mie forze che quella
tappa esistenziale, meravigliosa e catastrofica allo stesso tempo, potesse essere rimandata ad una
stagione della vita, per così dire, più “matura”.
Non ce l’avrei mai fatta a vegliare per l’intera notte un corpicino strillante. Per non parlare di
pannolini e… di tutto il resto.
Pensavo con orrore alla fine delle sfide di calcetto, delle partite allo stadio con la sciarpa rossonera
al collo, delle birre improvvisate con gli amici, del tempo per me da trascorrere in solitudine,
magari anche solo fissando gli alberi e il cielo, al di là della strada, dal balcone di casa.
Quella sera, prima di andare a letto, annotai poche parole sulla prima pagina del mio nuovo notes:
“Meglio un genitore imperfetto che nessun genitore”
Rubai un paio d’ore al sonno, per navigare sul web, alla ricerca di un affidabile report che
illustrasse le più frequenti ragioni del rigetto delle domande di adozione e mi appuntai uno schema,
con la colonna di destra dedicata al caso specifico dei Signori Guerra:
Mancata elaborazione del lutto di un parto mancato
Difficoltà economiche della coppia
Gravi malattie dei potenziali genitori
ASSENTE
ASSENTE
ASSENTE
Ricerca del figlio perfetto, appartenente ad un particolare fenotipo
Incertezza di uno dei coniugi nella scelta
Genitorialità vissuta come un dovere morale di solidarietà
Disperato bisogno di genitorialità
ASSENTE
ASSENTE ++++
ASSENTE ?
PRESENTE
Chiusi il diario e mi infilai sotto le coperte, cullato dal lieve russare di Claudia. Pensai che sarebbe
stato giusto confessarle, alla prima occasione opportuna, che non mi sentivo ancora pronto ad
accogliere nella mia vita un figlio e che non ritenevo poi così terribile il desiderio di godersi ancora
un po’ la vita.
I tre consiglieri di corte d’appello ascoltarono con attenzione la mia arringa, all’udienza di
discussione del ricorso a favore dei coniugi Guerra. Discussi in modo appassionato, come se si
trattasse del mio ultimo processo.
I giudici confabularono a lungo tra loro e la Presidente del collegio chiese ai miei clienti se fossero
disposti ad affrontare un supplemento di istruttoria.
Spronati dal mio sguardo imperativo, risposero all’unisono di sì e fu fissata un’udienza per la loro
audizione davanti ad un consigliere della Corte.
Mi sembrò un ottimo risultato, seppur interlocutorio. Era la prova che il mio ricorso era stato letto
con attenzione e che la mia discussione era stata percepita come non banale. Non mi era sfuggita la
circostanza che il Giudice relatore avesse preso appunti con attenzione.
Il mantra “meglio un genitore imperfetto che nessun genitore” l’avevo sillabato per ben tre volte,
ma non avrei saputo dire che effetto quelle parole avessero prodotto nella mente dei giudici, tutti
piuttosto esperti.
All’uscita dall’aula i Signori Guerra si precipitarono verso di me. «Avvocato, che cosa significa
questo rinvio?».
«Significa che la Corte ritiene necessari approfondimenti e vuole sentirvi».
«Questa è una bella notizia. Non è vero?».
«Sono d’accordo. È una notizia incoraggiante. Solo voi, però, potrete renderla bella, rispondendo
con intelligenza e anche furbizia alle domande che vi farà il consigliere di Corte d’appello».
Dissi che era necessaria una riunione in studio, per simulare la loro audizione, così da farli arrivare
preparati ad un’udienza di vitale importanza. Temevo che la rabbia che nutrivano potesse fregarli.
Loro si mostrarono d’accordo e fissammo un appuntamento in studio per la settimana successiva.
All’appuntamento i coniugi Guerra si presentarono in ritardo di dieci minuti.
«Questo non dovrà avvenire in udienza». Li ammonii. «All’udienza vi dovrete presentare con
puntualità svizzera!».
«Saremo puntualissimi in udienza. Per oggi ci scusi, avvocato».
Invitai il Signor Guerra a sciogliere un poco il nodo della cravatta. «Eviti di risultare troppo
perfettino. Le conviene. Meno forma e più sostanza».
Lui mi sorrise. «Ha ragione. Lo dice anche mia moglie». E non solo allentò il nodo della cravatta,
ma sbottonò anche la camicia.
Decisi che Alessinik, la parte più ardita del mio complicato essere, dovesse prevalere sul timido e
insicuro avvocato Alessio Mayer e assunsi le vesti del mental coach, pretendendo attenzione
assoluta.
«Statemi bene a sentire. Tra tre giorni, in un’aula di corte d’appello, si deciderà l’esito della causa
che tanto vi sta a cuore. Ogni parola, ogni sguardo, ogni gesto può risultare decisivo e andrà curato
nei minimi dettagli. Mi avete capito?».
I signori Guerra annuirono, sorpresi dal mio piglio dittatoriale.
«Ora tenete bene a mente questo concetto: non siete voi ad avere bisogno di un figlio ma ci sono
tantissimi bambini nel mondo che avrebbero bisogno di diventare vostri figli! Mi sono spiegato?».
«Certo, avvocato».
Fui fulminato da un’idea che mi sembrò geniale. «Signor Guerra». Dissi a voce molto alta. «Le
consiglio di fare esattamente come le dico. Lei indicherà la finestra dell’aula di udienza e dirà
questa esatta frase: là fuori c’è un bambino che ha bisogno di me!».
Renato Guerra sgranò gli occhi, stupefatto. «Avvocato, ma non è un po’ teatrale?».
Fui irremovibile. «Lo faccia, si fidi di me».
«Mi fido di lei, avvocato».
Mi impegnai ad organizzare l’udienza di audizione dei clienti, con una meticolosità da maniaco del
controllo: il vestiario; lo sguardo; l’atteggiamento; le parole. Niente avrebbe dovuto essere affidato
al caso.
Quando i clienti ebbero lasciato lo studio, mi chiesi il perché ti tanto coinvolgimento emotivo. Mi
risposi che forse ciò dipendeva dal fatto che sapevo bene che cosa significasse crescere senza un
padre.
All’udienza niente andò secondo i miei programmi.
Il consigliere delegato, una donna di circa sessant’anni, fece una lunga premessa per esporre i rischi
insiti nella scelta di adottare. «Siete davvero convinti di farcela come coppia?». Li interrogò con
ruvidezza. «Voi avrete a che fare con bambini difficili, che si sentono abbandonati, diversi dagli
altri, sbagliati. Al primo rimprovero, al primo divieto, vi sentirete gridare in faccia che voi non siete
i loro veri genitori. Ce la farete a resistere? In queste cose il fallimento non è un’opzione. Meglio
rinunciare prima di cominciare ,che abbandonare il campo quando la partita è in corso».
Renato Guerra sollevò il mento, con fierezza. «Non abbiamo intenzione di indietreggiare di un
centimetro, Signor Giudice».
Il consigliere delegato annuì, mentre sfogliava le carte del fascicolo. «Cari signori, ho letto
attentamente la relazione dei servizi e mi sorge un dubbio: non è che, per caso, voi vivete la
genitorialità come un diritto assoluto? Guardate che si può vivere anche senza figli e che essere
padre e madre significa, soprattutto, avere dei doveri».
Renato Guerra balzò in piedi e non mi fu possibile in alcun modo trattenerlo. «Adesso basta, Signor
giudice, con tutto il rispetto. Ne ho sentite troppe sul conto mio e di mia moglie». Mi rivolse
un’occhiata affranta. «Mi scusi, avvocato, so che lei non approverà il mio comportamento, ma devo
essere sincero». Poi tornò ad inquadrare nel mirino dei suoi occhi determinati la tonda figura del
consigliere delegato. «Dovrei essere qui a dichiarare che io e mia moglie non abbiamo bisogno di
un figlio, ma non lo farò. Non sarebbe giusto. Ebbene sì, noi abbiamo un disperato bisogno di
essere madre e padre, per sentirci più completi, per essere una vera famiglia, per dare amore a
qualcuno che resterà dopo di noi. Che male c’è? Avere bisogno di amare è forse una debolezza? Più
si ha bisogno di qualcuno da amare più si è capaci di amore. Io la vedo così». Terminato lo
sproloquio, si lasciò cadere sulla sedia, come un pupazzo a molla che ha esaurito la carica. Ricordo
che mi presi la testa tra le mani. Più che un avvocato dovevo sembrare un calciatore sconfitto, al
fischio finale di una partita importante.
Mi sorpresi alquanto quando lessi quella comunicazione via pec della cancelleria della Corte
d’appello di Milano, sezione famiglia. Le parole “accoglimento totale del ricorso” mi regalarono un
brivido di eccitazione. Informai subito i clienti dell’insperato felice esito del giudizio. Li sentii
piangere di gioia. Non riuscivano neppure a parlare e mi promisero che mi avrebbero chiamato nel
pomeriggio, smaltita l’emozione. Stampai il provvedimento della Corte e lo infilai in borsa, perché
avevo fretta di andare in udienza.
Mi decisi a leggere l’intero provvedimento parola per parola, al bar del tribunale, in una pausa di
udienza, davanti ad una tazzina di caffè.
Avevo letto solo l’intestazione del decreto, quando mi sentii chiamare per nome. «Avvocato Mayer,
buongiorno».
Mi voltai di scatto e riconobbi la paffuta sagoma del consigliere delegato che aveva proceduto
all’audizione dei signori Angela e Renato. Era a due passi da me e sventolava l’indice in direzione
del foglio di carta che stringevo tra le mani.
«Sbaglio o quello è il nostro decreto nel fascicolo Guerra?».
Sorrisi stupito. «Proprio così…beh…immagino di doverla ringraziare, Signor giudice».
Lei scosse la testa. «Ringrazi il suo cliente, piuttosto. Me lo ricorderò a lungo il suo sfogo in aula».
Allargò le braccia. «Una parentesi di verità, per Dio, in un mare di ipocrisia!».
Fece un cenno di saluto, prima di sparire oltre la porta, nella penombra del corridoio.
E mi lasciò a bocca aperta.
Decreto di idoneità all’adozione
L’idoneità, ovvero, al contrario, la non idoneità di una coppia all’adozione nazionale e
internazionale viene pronunciata (ex art. 30 Legge 184/1983) con decreto dal Tribunale per i minorenni territorialmente competente, alla luce degli esiti di una visita medico legale circa lo
stato di salute dei candidati e, soprattutto, letta la relazione psico sociale dei servizi sociali del
luogo di residenza dei richiedenti (art. 29 bis Legge 184/1983). Il Tribunale, prima della
decisione procede all’ascolto dei richiedenti l’idoneità, anche a mezzo di un giudice delegato e,
stante la delicatezza della decisione, può procedere ad ulteriori approfondimenti.
Le coppie che intendono attivare la procedura finalizzata all’adozione internazionale devono
redigere e sottoscrivere una apposita dichiarazione di disponibilità, presso i competenti uffici
del Tribunale per i minorenni del luogo di residenza. Tale dichiarazione di disponibilità ha
efficacia triennale e può essere rinnovata.
Il tribunale per i minorenni, letta la dichiarazione di disponibilità suddetta, delegherà
un’indagine psico sociale ai servizi sociali del luogo di residenza dei richiedenti. I servizi
valuteranno l’idoneità dei candidati dopo avere svolto colloqui personali approfonditi e una
visita domiciliare, anche al fine di accertare l’idoneità dell’abitazione ove dimora la coppia ad
ospitare eventuali figli adottivi.
I candidati dovranno altresì sottoporsi ad una visita medico legale onde accertare il loro stato di
salute.
Quali sono i casi più frequenti in cui viene accertata una inidoneità della coppia all’adozione?
Va premesso che la presente casistica è redatta a mero titolo esemplificativo e non è di certo
esaustiva:
- La mancata elaborazione del lutto di un precedente mancato parto (circostanza
alquanto discutibile, posto che dal dolore e dalla sofferenza anche traumatica può sovente
maturare un’accresciuta capacità di dare affetto); - Gravi patologie che affliggano uno dei candidati,posto che una malattia del genitore adottivo probabilmente o certamente incurabile esporrebbe il figlio al rischio del trauma aggiuntivo della prematura perdita della figura genitoriale;
- Incertezze sulla scelta di diventare genitori da parte anche di un solo membro della coppia;
- Impossibilità oggettiva, accertata dai servizi, di mantenere, istruire ed educare la prole anche alla luce di rilevanti difficoltà economiche della coppia o della carenza di un credibile progetto di vita familiare;
- Anaffettività della coppia, o di uno solo dei partners, riscontrata dai servizi sociali;
- Desiderio della coppia, o di uno solo dei partners, di avere un figlio che abbia uno specifico sesso o determinate caratteristiche fisiche, intellettive o caratteriali ovvero che corrisponda ud un particolare fenotipo;
- Eccessivo spirito solidaristico nella scelta di adottare. In particolare si tende a scongiurare le maternità e paternità vissute essenzialmente come espressione di un particolare dovere etico morale di risarcire il danno patito da minori nati o cresciuti senza una famiglia. Si ritiene preferibile poter contare su una genitorialità appassionata più che su una genitorialità vissuta come freddo impegno sociale, imposto da vincoli di coscienza di natura religiosa ovvero ideologica;
- Inidoneità dei richiedenti dovuta a una condotta di vita improntata alla commissione di illeciti, ovvero segnata da dipendenza da sostanze alcoliche o stupefacenti;
- Rilievo, da parte dei servizi sociali, che la paternità e la maternità non conseguono ad un altruistico bisogno di dare affetto, bensì sono visti come un mezzo per sanare dissidi di coppia o fallimenti esistenziali.
Il decreto di idoneità all’adozione può essere revocato?
La risposta è affermativa. Il decreto attestante l’idoneità all’adozione emesso a beneficio dei
richiedenti può essere revocato a seguito della constatazione del venir meno dei presupposti per
il riconoscimento, vale a dire per il sopravvenire di fatti o condizioni che depongono per
l’inidoneità della coppia.
Il decreto di idoneità ha efficacia illimitata nel tempo?
No. Il decreto di adozione, subito comunicato dal Tribunale per i minorenni alla Commissione
per le adozioni internazionali, perde efficacia se entro un anno dalla sua notificazione i candidati
genitori non si rivolgono, per l’apertura della procedura di adozione, ad un Ente accreditato per
l’adozione internazionale presso la suddetta Commissione.
I richiedenti l’adozione devono possedere dei requisiti oggettivi e soggettivi?
La risposta è affermativa. I richiedenti l’adozione devono possedere i seguenti requisiti oggettivi
e soggettivi:
- Essere sposati da almeno tre anni, o aver convissuto per tre anni prima del matrimonio.
- Non essere separati, né aver avuto separazioni negli ultimi tre anni.
- Almeno uno dei coniugi deve avere compiuto gli anni 25 e l’altro gli anni 21.
- La differenza di età tra adottanti e adottato non deve superare i 45 anni per uno dei coniugi e i 55 per l’altro.
Cosa può fare la coppia che si è vista negare l’idoneità dal Tribunale per i minorenni?
- La coppia giudicata inidonea può reiterare la domanda di adozione, adducendo fatti o
elementi sopravvenuti (altrimenti la domanda sarebbe inammissibile poiché soggettivamente e
oggettivamente identica alla precedente già respinta). In tal caso il consiglio è quello di non
procedere immediatamente alla presentazione di una nuova domanda, ma di attendere il tempo
necessario ad avviare un confronto e una verifica di coppia circa le criticità eventualmente
sottolineate nel corpo della relazione psicosociale dei servizi. Inoltre una domanda presentata con eccessiva rapidità può implicare che gli assistenti sociali delegati ad esaminarla siano gli
stessi che hanno già redatto la precedente relazione; - Impugnare il decreto con reclamo alla Corte d’appello territorialmente competente (Vedi paragrafo successivo).
Dagli operatori del settore sono stati mossi rilievi critici relativamente alla procedura di adozione internazionale attualmente vigente?
Dagli operatori del settore sono state sottolineate le seguenti criticità relativamente alla procedura
di adozione disciplinata dall’art. 30 della Legge 184/1983:
- Lentezza e lungaggini della procedura, soprattutto nel caso di dichiarazione di inidoneità genitoriale impugnata con reclamo alla Corte d’appello territorialmente competente (in questi casi i candidati genitori possono essere costretti ad un’attesa di anni);
- Soggettività dei giudizi espressi dagli assistenti sociali nella loro relazione. Tali giudizi, se negativi, sono spesso vissuti dai richiedenti l’idoneità come ingiusti, arbitrari, immotivati o frutto di pregiudizio. Nella peggiore delle ipotesi tali apprezzamenti negativi possono infiammare una crisi di coppia già in corso e rendere irreversibile la crisi coniugale;
- Tempi troppo stretti per fare reclamo alla Corte d’appello avverso il decreto di inidoneità.
La normativa attuale, quinto e ultimo comma dell’art. 30 L. 184/1983, prevede che il reclamo
avverso il decreto di inidoneità della coppia vada depositato presso la competente Corte
d’appello entro dieci giorni dalla notifica del provvedimento negativo.
Per una coppia impreparata a fronteggiare l’evenienza tale ridottissimo termine sarà appena
sufficiente a reperire un avvocato esperto nel diritto di famiglia cui conferire il mandato per
impugnare il provvedimento pregiudizievole.
L’impugnazione del decreto che dichiari l’inidoneità della coppia.
Come detto nel paragrafo precedente, il decreto pronunciato dal Tribunale per i minorenni che
attesti l’inidoneità della coppia richiedente l’adozione, può essere impugnato con ricorso da
depositare presso la Corte d’appello territorialmente competente entro dieci giorni dalla notifica
ai richiedenti.
Il ricorso deve essere sottoscritto da un avvocato e motivato, ovvero deve contenere specifiche
critiche alle argomentazioni con cui in Tribunale per i minorenni ha negato l’idoneità
all’adozione.
La Corte decide il ricorso in camera di consiglio e in composizione collegiale. (art. 739 c.p.c.)
Il reclamo avverso il decreto può essere formulato anche dal Pubblico Ministero. Si badi che nei
procedimenti che stiamo trattando è necessaria l’acquisizione del parere del pubblico ministero
(art. 740 c.c.c.).
La Corte può decidere il ricorso alla prima udienza ovvero, se ritenuto necessario, disporre un
supplemento di istruttoria:
- nominando un CTU (consulente tecnico d’ufficio) onde approfondire le dinamiche di coppia e l’idoneità genitoriale dei ricorrenti;
- assegnando ad un giudice designato il compito di rinnovare l’audizione dei ricorrenti.
È consigliabile a coloro che intendano richiedere l’idoneità all’adozione scegliere, prima della
emanazione del decreto da parte del Tribunale per i minorenni, un avvocato che li assista nella
procedura.
Diversamente il termine di dieci giorni dalla notifica del decreto di rigetto della idoneità sarà destinato a
rivelarsi del tutto insufficiente a scrivere e depositare un ricorso completo e soddisfacente.
Qui di seguito si riporta il tenore letterale della norma più volte citata (l’articolo 30 della L.
184/1983):
- Il tribunale per i minorenni, ricevuta la relazione di cui all’articolo 29-bis, comma 5, sente gli aspiranti all’adozione, anche a mezzo di un giudice delegato, dispone se necessario gli opportuni approfondimenti e pronuncia, entro i due mesi successivi, decreto motivato attestante la sussistenza ovvero l’insussistenza dei requisiti per adottare.
- Il decreto di idoneità ad adottare ha efficacia per tutta la durata della procedura, che deve essere
promossa dagli interessati entro un anno dalla comunicazione del provvedimento. Il decreto
contiene anche indicazioni per favorire il migliore incontro tra gli aspiranti all’adozione ed il
minore da adottare. - Il decreto è trasmesso immediatamente, con copia della relazione e della documentazione
esistente negli atti, alla Commissione di cui all’articolo 38 e, se già indicato dagli aspiranti
all’adozione, all’ente autorizzato di cui all’articolo 39-ter. - Qualora il decreto di idoneità, previo ascolto degli interessati, sia revocato per cause
sopravvenute che incidano in modo rilevante sul giudizio di idoneità, il tribunale per i minorenni
comunica immediatamente il relativo provvedimento alla Commissione ed all’ente autorizzato di cui
al comma 3. - Il decreto di idoneità ovvero di inidoneità e quello di revoca sono reclamabili davanti alla corte
d’appello, a termini degli articoli 739 e 740 del codice di procedura civile, da parte del pubblico
ministero e degli interessati”