Diritto Processuale Civile
La villa di Luca
Claudia mi strinse forte la mano. «Anche noi un giorno avremo una casa così, che sembra una reggia?».
Mi feci sfuggire un sorriso amaro e ne approfittai per far correre lo sguardo tutt’attorno, con occhio incantato: il soffitto a cassettoni; gli archi di mattoni a separare l’immensa sala dalle stanze attigue; le vetrate protette da eleganti tendaggi degni dell’imperatore Francesco Giuseppe e quella scalinata di marmo, dal sentore napoleonico, che si inerpicava verso i piani superiori tra quadri, arazzi, busti di marmo e diplomi incorniciati.
Scossi la testa, con un sorriso risoluto. «No, amo. Non l’avremo mai una casa così. Piuttosto trenta dei tuoi viaggi da sogno, lo giuro!».
Lei appoggiò la sua testa sulla mia spalla. «Non la vorrei mai una casa così. Non faremo mai debiti noi due».
«Esatto!». Confermai, orgoglioso del fatto che almeno su quello fossimo d’accordo. Nessun debito mai! Non era forse quel solo principio il sicuro fondamento di una serena vita di coppia anche senza prole?
In attesa che i padroni di casa venissero a offrirci un drink di benvenuto, mi alzai dal divano, feci qualche passo di lato, lanciai una furtiva occhiata oltre la più vicina arcata di mattoni e scorsi un corridoio interminabile sul quale si affacciavano molte stanze. “Luca ha fatto le cose proprio sul serio” pensai. “E d’altra parte, con il suo stipendio faraonico da consigliere d’amministrazione…speriamo che abbia bisogno di consulenze. Basta fare l’avvocato dei poveracci! Anche io ho diritto di fare soldi. Altrimenti cosa penserà di me la povera Claudia, con tutto il tempo che passo in studio?”.
Il mio amico lo ammiravo tutte le mattine, sul tram che arrancava verso il centro della città, con la cravatta annodata alla perfezione, quella elegantissima giacca blu e la ventiquattrore stretta nel pugno con l’aria dell’uomo sicuro di sé e non del gattino da salotto come me. Ecco perché lui aveva fatto carriera e io no: lui aveva l’aria del vincente!
Eravamo stati vicini di banco alle scuole medie, ma lui aveva decisamente bruciato le tappe, lasciandomi sempre indietro: laureato in Bocconi a pieni voti a ventiquattro anni; la prima scrivania dirigenziale a venticinque e poi l’ascensore verso il successo che saliva inarrestabile verso i piani più alti di una multinazionale.
Finalmente Luca apparve, al centro del salone, con la sua chioma vaporosa ed il solito sorriso radioso in volto. «Che piacere avervi qui a villa Alba!». Allungò la sua mano decisa verso quella incerta di Claudia. «Che piacere conoscere la stupenda ragazza del mio migliore amico. Sapessi quanto Ale mi parla di te. Io e lui siamo come fratelli, lo sai? Oh, ma lui ha occhi solo per te! Lontano da te quello è un cane senza padrone». Esplose in una fragorosa risata, che mi parve del tutto inopportuna.
Claudia fece un timido sorriso.
Una voce femminile risuonò, da dietro un tendaggio. «Andiamo nel pergolato a prendere l’aperitivo. C’è un bel fresco. Maddalena…stappa lo champagne, mi raccomando, la bottiglia migliore, quella che mio marito ha comprato l’altro ieri!».
E una voce roca di rimando, con una nota di fastidio. «Già fatto, Signora».
Presi per mano Claudia e, alle spalle di un euforico padrone di casa che non la smetteva di enfatizzare le mie presunte doti umane, ci inoltrammo in un cono di luce abbacinante, che lasciava presagire la prossimità di un giardino.
Oltre una porta a vetri spalancata, in effetti, si stendeva un prato verdeggiante, con un manto erboso all’inglese che sembrava godere di ottima salute. Di certo non mostrava di patire la sete estiva. Un gazebo bianco, al centro del giardino, era stato ornato di fiori e una promettente bottiglia immersa nel cestello del ghiaccio campeggiava al centro di una tavola tonda, attorniata da sedie di legno.
Esorcizzato il mio senso di inferiorità, provai un moto d’orgoglio: ecco un amico, oltre al mio socio di studio, che ero fiero di presentare a Claudia, così affamata di eleganza e bellezza.
La moglie di Luca sembrava una regina. Camminava verso di noi, pavoneggiandosi sulle anche e contemplando ciò che la circondava con piena soddisfazione.
«Vi piace la nostra villa?».
«Eccome». Bofonchiai, mentre addentavo una tartina imburrata.
La donna, che si era presentata come Eleonora, cinse con un braccio i fianchi del marito. «Tutto merito suo». Lo fissò con sguardo adorante. «Amo, dillo ai tuoi amici, quanto ha fatturato la Luna Blu da quando sei nel consiglio direttivo?».
Lui la baciò sulle labbra. «Non riesco a dirlo. Ci sono troppi zeri. Ho paura di confondermi».
Moglie e marito risero all’unisono.
Prima di stappare la bottiglia di champagne, Luca invitò la moglie ad andare in cucina. «Maddalena ha bisogno di aiuto col prosciutto e melone e le acciughe del mar cantabrico, ti spiace?».
Claudia si sedette accanto al mio amico, sgranando gli occhi rapiti. «Ma che bella questa casa, Luca. Davvero tanti…tanti…tanti complimenti!».
Il volto del padrone di casa, prima schiumante di gioia, divenne all’improvviso una maschera di dolore, tanto che sembrò sul punto di mettersi a piangere.
«Guardatela bene, questa casa». Sussurrò con voce strozzata dall’emozione. «Perché tra qualche mese nessuno di noi potrà più metterci piede! Nemmeno io».
«Perché?». Lo incalzai con una smorfia stranita.
«Perché finirà all’asta. La banca mi ha ordinato il rientro immediato dal mutuo e io non ho una lira».
Scossi la testa basito. «Luca, ma cosa dici? Tu hai un reddito mensile che io posso solo sognare. Stai scherzando, vero?».
Lui si prese la testa tra le mani. «Mi hanno licenziato un anno fa. Tutta colpa di un’operazione commerciale che l’assemblea dei soci ha ritenuto rovinosa. Avrei saputo come rimediare, ma non me ne hanno dato il tempo. “Le sue dimissioni sulla mia scrivania prima di sera o la licenziamo in tronco. Se si dimette sapremo essere generosi”. Mi ha urlato in faccia quel porco del Presidente. Quanto mai non ho accettato la buonuscita. Avrei avuto un po’ di soldi sul conto e invece sono al verde!».
Ero incredulo. Credo che il mio viso disegnasse in quell’istante l’espressione più inebetita del mondo. «Ma cosa stai dicendo, Luca? Io ti vedo tutte le mattine sul tram, vestito di tutto punto e il cellulare ti squilla di continuo».
Lui mi fissò negli occhi, con sfumature da tragedia greca. «Una sceneggiata. Non voglio che mia moglie sappia la verità. Mi vesto come se sedessi ancora sulla mia poltrona nella stanza dei bottoni, ma non ci vado da un anno».
«E dove vai?».
Giocherellò col calice ancora vuoto. «Al mattino faccio fotocopie ad Affori. Pranzo con un panino e alle sedici in punto servo i caffè dall’altra parte della città. Sapessi con che altezzosità la gente guarda i camerieri…come fossero schiavi».
«Oh, mio Dio». Non seppi trattenere lo sgomento. Mi spiaceva davvero per lui che sembrava essersi infilato in un tunnel senza luce e soprattutto senza uscita. Era un uomo con le spalle al muro, alla faccia del fatturato di Luna Blu.
Decisi di tornare alla carica. «Hai proposto alla banca un rientro rateale?».
«E’ la prima cosa che ho fatto, ma me l’hanno negato. Dicono che sono venute meno le garanzie».
Claudia gli prese una mano, con attenzione materna. «Luca, scusami se te lo dico, ma non puoi continuare a mentire. Eleonora prima o poi scoprirà la verità e più tardi sarà peggio sarà».
Luca annuì, mordendosi un labbro.
Claudia insistette. «Vuoi approfittare della nostra presenza per parlarne adesso? Ti giuro che Ale sarà dalla tua parte. Se vuoi potremo guadagnare tempo dicendo che state studiando i rimedi legali».
Luca si alzò di scatto, agitando le braccia con disperazione. «No, vi prego. Oggi voglio solo divertirmi. Sapete cosa diceva mio nonno Giuseppe? Vivo oggi, non domani».
“Vivo oggi, non domani”. Quel motto risuonò nella mia mente, neanche fosse uno dei mantra di zio Arturo.
Dalla porta a vetri della villa sbucò Eleonora. «Stanno arrivando i vassoi con gli antipasti. Per il pranzo ho dato ordine di servire nel gazebo accanto alla piscina. Ci sono anche asciugamani e costumi da bagno per tutti».
La donna avanzava verso di noi, con l’inesorabile incedere di un tragico countdown.
Avevo pochi secondi per salvare il mio amico da un naufragio umano che avrebbe comportato conseguenze inimmaginabili e credetti di aver partorito l’idea giusta.
Lo afferrai per il braccio. «Hai conservato l’atto di precetto che ti hanno notificato?».
Lui annuì.
«Quant’è ad oggi il tuo debito?».
«Ottantamila».
«Vieni da me in studio domani e porta il precetto. Forse ho la soluzione giusta al tuo problema».
Nei suoi occhi brillò la speranza del detenuto che intravede spiragli di libertà.
«Davvero?».
«Davvero». Ribadii con l’aria più convincente che mi riuscii. Ma non fu possibile dire una sola parola di più, perché Eleonora già stringeva in un abbraccio appassionato la sua amata fucina di denaro. «Dai. Dillo ai tuoi amici, non fare il timido. Quanto zeri ha avuto quest’anno il fatturato di Luna Blu? Da oggi non sarebbe meglio chiamarla Luna d’oro?».
«Mi hai dato una speranza, Ale. Adesso non puoi deludermi. Devi aiutarmi o sono un uomo morto».
Gli occhi di Luca non erano né quelli esuberanti di sempre, né quelli contriti della confessione del suo fallimento esistenziale, all’ombra del gazebo di villa Alba. Sembravano brillare come imperativi categorici puntati contro di me.
Trovai che mi si attribuisse una responsabilità ingiusta e provai a sdrammatizzare. «Non dire così. Godi di ottima salute. Non si muore per problemi legati ai soldi».
Lui non volle indietreggiare. «Se perdo la villa perdo tutto. Io non sono un topo da appartamento. Non potrei mai rassegnarmi a vivere in pochi metri quadrati…e poi con Eli sarebbe la fine…».
«Okay».
Il precetto giaceva inerte, sulla mia scrivania di studio. A metà dell’ultima pagina, scintillava in
grassetto la cifra, definita onnicomprensiva, di € 83.722,15. La beffa degli atti di precetto è che
spesso compaiono persino i centesimi.
Era stato notificato sei mesi prima. Il mio amico l’aveva nascosto in un cassetto, perché la moglie non lo trovasse, con l’assurda speranza che si smaterializzasse senza lasciare traccia.
«Sai cos’è la conversione del pignoramento?».
Lui scosse la testa.
«Il nostro ordinamento giuridico è sensibile alla tutela della proprietà e concede al debitore di sostituire denaro ai beni che gli sono stati pignorati. Con la possibilità di versare questo denaro in quattro anni».
Gli occhi di Luca parvero tornare quelli di sempre. «Interessante, spiegati meglio».
Spiegai che il codice di procedura civile gli consentiva di congelare il pignoramento e scongiurare la vendita all’asta della villa, con il pagamento immediato di un sesto del debito e la possibilità di richiedere al giudice di pagare gli altri cinque sesti in quarantotto rate mensili.
«E potrò continuare a vivere nella villa per quattro anni, come se niente fosse accaduto?».
«Esatto».
Spalancò gli occhi come un bambino. «Ma questo salverebbe la mia vita e il mio matrimonio. Lo capisci?».
«Trovo che drammatizzi. Comunque lo capisco».
Luca corrugò la fronte e iniziò a digitare compulsivamente sul suo cellulare. Quando riemerse dai suoi calcoli mostrò un sorriso fiducioso. «Si può fare. Circa 14.000 euro subito e poi quarantotto rate mensili da 1.450». Annuì con decisione e confermò. «Si può fare».
Volli stare attento a non alimentare illusioni. «Dovrai aggiungere gli interessi scalari, da calcolare rata per rata».
«E quando dovrò pagarli?».
«Generalmente con l’ultima rata».
«Ce la farò. Devo solo pensare…». Si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro nella mia stanza, dalla finestra alla sedia, come una mosca imprigionata sotto un bicchiere, finché si bloccò, battendosi una mano sulla fronte. «Ma certo. Aggiungerò un terzo stipendio. Rinuncerò al panino e a pranzo lavorerò alla mensa del mio amico Mario. Tempo fa mi aveva proposto di assumermi come cuoco».
Lo scrutai divertito. «Non sapevo che tu fossi esperto di cucina. Sei una continua sorpresa».
«Non ho mai cucinato».
«E come farai?».
«Imparerò. Voglio applicare l’insegnamento di mio nonno Giuseppe: la vita è oggi, non domani. Il problema di oggi è trovare lavoro? L’ho trovato. Il problema di domani è imparare a farlo? Imparerò».
Fece uno sbrigativo gesto di saluto e, tutto eccitato, si avviò a passo rapido lungo il corridoio, tanto che mi costrinse ad inseguirlo. «Un momento. Mi devi firmare la delega».
«Mandamela via mail. Te la spedisco con la firma scannerizzata. Adesso devo correre da Mario. Voglio che mi firmi il contratto oggi stesso».
«E come farai per la prima rata di 14.000?».
«Per quell’importo mi faccio finanziare da mio padre».
«E per quelle successive?».
«Taglierò le spese. Convincerò mia moglie a rinunciare a Maddalena. La servitù è solo un lusso».
«Mi raccomando, Luca. Non essere imprudente». Coi clienti il mio lato protettivo si esaltava.
Lui mi sorrise, prima che la porta dell’ascensore lo blindasse. «Tu ti stressi troppo, Ale. Fatti una bella scopata con Claudia e divertiti. E ricorda: la vita è oggi, non domani».
Agitai una mano in segno di saluto e rimasi a riflettere. Devo ammettere che un po’ lo invidiai. Lui non si faceva rovinare la vita dai guai mentre io mi torturavo il cervello anche solo per scegliere che abiti indossare.
E così Luca divenne mio cliente. Purtroppo non pagante.
Per suo conto depositai la richiesta di conversione del pignoramento, allegando la prova del versamento del sesto della somma precettata e il giudice autorizzò la rateazione quadriennale dei restanti cinque sesti, fissando l’udienza di verifica della correttezza dei pagamenti per il successivo mese di febbraio. Dunque, ce l’avevamo fatta. Luca avrebbe potuto continuare a mentire impunemente a sua moglie, ad andare in giacca e cravatta a fare fotocopie e a cucinare alla mensa e ad ostentare agli ospiti di villa Alba una ricchezza inesistente.
All’udienza di verifica dei pagamenti delle prime sei rate il mio amico presenziò al mio fianco.
Il giudice ci accolse nella sua stanza con più di un’ora di ritardo. Lanciò a Luca uno sguardo accigliato. «Signor Bitossi, dal fascicolo mi risulta che lei ha pagato solo la prima rata della conversione. Come mai non ha provveduto a pagare nemmeno una delle rate successive?».
All’udire quelle parole sobbalzai sulla sedia e trafissi il mio cliente con un’occhiataccia.
Il mio amico inalberò la solita espressione tronfia, senza scomporsi. «Signor Giudice, mi scuso, ma non ho potuto provvedere. Domani stesso pagherò tutto l’arretrato. Lo prometto».
Il giudice scosse la testa, con espressione austera. «Signor Bitossi, il suo avvocato le spiegherà che non è così che funziona. La banca ha tutto il diritto di chiedermi di revocare la conversione e di andare all’asta».
La giovane avvocatessa che mi sedeva accanto sollevò gli occhi da un incartamento e annuì.
«Signor Giudice, ho istruzioni precise di chiedere la messa in vendita dell’immobile».
Io mi piegai di lato e sussurrai all’orecchio di Luca. «Ma cos’è successo? Perché non mi hai detto di avere pagato solo la prima rata?».
Lui sembrò non capire. «Non pensavo fosse importante. Mia moglie si è rifiutata di licenziare Maddalena, poi ti spiego. Ma che cos’è tutto questo casino? Ho detto che pago e pagherò…avrò diritto ad un rinvio, ad un termine per fare il saldo…».
«Eh no!». Lo interruppe il giudice a voce alta. «Lei questo termine lo ha già avuto e non ha pagato. La legge non prevede una seconda occasione. Ora si rassegni al fatto che la casa andrà all’asta!».
Luca scattò in piedi e non riuscii a trattenerlo. «La legge non prevede una seconda occasione? Ma che legge è la vostra? Io non licenzio una povera lavoratrice per pagare un debito di banca! Quarantotto rate…cinquantaquattro rate…duemila…mi spiegate che differenza fa per una banca? Vogliamo mettere a morte le persone per un paragrafo del codice civile che dice quarantotto rate?».
Il giudice impallidì. «Avvocato, porti fuori il suo cliente. Subito!».
Accompagnai Luca fuori dall’aula, per evitargli guai peggiori, e provai a calmarlo, ma lui mi spinse via. «Nessuno mi parli di giustizia! Questo è un mondo di ladri!».
Accelerai il passo per raggiungerlo, perché temevo che potesse fare una sciocchezza, ma lui sparì oltre le scale, più veloce di me. Come sempre nella vita.
«Alessio Mayer, il miglior avvocato di Milano!».
Posai il boccale di birra e distolsi lo sguardo da Claudia, per lanciare un’occhiata alle mie spalle.
Luca Bitossi spalancava le braccia, in uno dei suoi consueti gesti teatrali, con l’inconfondibile sorriso smagliante che gli illuminava il volto.
Mi alzai di scatto e gli strinsi la mano. «Luca, ma che fine hai fatto? Non ti ho più visto dal giorno dell’udienza».
«Mi devi scusare. Quel giorno avevo perso la testa. Poi ho riflettuto e ho risolto ogni problema, come al solito. Eli mi ha lasciato, ma è stato meglio così. La vedi quella là?». Mi indicò una ragazza poco più che ventenne, che sedeva al bancone del pub accarezzandosi i capelli castani. «Quella è figlia di un importante imprenditore. Adesso conviviamo nella villa di suo padre. Villa Alba era un pisciatoio a confronto. Questa ha un giardino che è grande il doppio e oltre alla piscina c’è anche il campo di calcio». Mi afferrò per un braccio spingendomi per qualche metro, lontano dalla mia ragazza. «Tu sei un bravo ragazzo, Ale. Ma ricorda: la vita è oggi, non domani. E lasciala quella ragazza, meriti di meglio. Ha sempre uno sguardo così severo, da maestrina rompipalle, ammettilo». E si allontanò da me, dopo avermi rifilato un amichevole pugnetto, per abbracciare la sua nuova fiamma.
Allora mi voltai a fissare Claudia. Cercava i miei occhi, con timidezza. E sentii di amarla ancor di più.
Conversione del pignoramento
Che cos’è la conversione del pignoramento?
La conversione del pignoramento disciplinata dall’art. 495 c.p.c. è un istituto che consente al debitore che abbia subito il pignoramento di un proprio bene, mobile o immobile, di conservarlo nel proprio patrimonio sostituendo a questo una somma di denaro equivalente al diritto del creditore che ha proceduto al pignoramento medesimo. Tale somma sarà pari alle spese di procedura + il capitale le spese e gli interessi del creditore che ha eseguito il pignoramento + il capitale le spese e gli interessi degli altri creditori intervenuti nella procedura.
Si tratta di una forma di tutela delle persone fisiche e delle famiglie che consente a costoro di conservare beni patrimoniali di primaria importanza anche in presenza della contrazione di debiti.
Tuttavia l’istituto della conversione del pignoramento si rivela spesso utile per lo stesso creditore esonerandolo dalle spese della procedura, dai lunghi tempi della vendita del bene pignorato e dall’incertezza dell’esito dell’asta (all’asta i beni pignorati sono spesso venduti a prezzo vile che neppure consente al creditore la soddisfazione integrale del proprio credito).
Quando è utile chiedere la conversione del pignoramento?
La conversione del pignoramento è utile allorché il valore del bene pignorato sia di molto superiore rispetto all’ammontare del debito complessivo.
Quando va presentata l’istanza di conversione del pignoramento?
La richiesta di conversione va formulata una sola volta dal debitore, anche personalmente, al giudice dell’esecuzione mediante il deposito telematico di una apposita istanza a pena di inammissibilità, prima che sia stata disposta la vendita o l’assegnazione del bene sottoposto a pignoramento. Tuttavia l’istanza non può essere formulata prima che il pignoramento sia stato iscritto a ruolo presso la competente cancelleria del Tribunale. Dunque il debitore dovrà attendere qualche tempo dopo che il pignoramento sia stato eseguito.
Come si presenta la domanda di conversione del pignoramento?
A pena di inammissibilità, il debitore che formula la domanda di conversione del pignoramento deve contestualmente depositare in cancelleria una somma di denaro, generalmente tramite bonifico o assegno circolare, non inferiore ad 1/6 dell’importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento (si faccia riferimento all’importo complessivo del credito indicato in atto di precetto) e dei crediti dei creditori intervenuti indicati nei rispettivi atti di intervento.
All’udienza che sarà fissata per la trattazione dell’istanza il giudice dell’esecuzione, nel contraddittorio delle parti e previa verifica dell’ammissibilità dell’istanza, determinerà l’importo globale che il debitore deve versare.
Quando l’istanza è ritenuta ammissibile?
- Quando è tempestiva, ovvero quando è stata presentata prima che fosse disposta la vendita del bene pignorato.
- Quando contestualmente alla presentazione dell’istanza il debitore ha provveduto al versamento della somma pari ad 1/6 del credito complessivo vantato dai creditori.
- Allorché l’istanza sia stata presentata per la prima volta in quella specifica procedura.
Qualora il giudice ritenga l’istanza ammissibile provvederà a fissare udienza al termine della quale, esperito il contraddittorio tra le parti, potrà ordinare la sostituzione dei beni pignorati con una somma di denaro determinata e maggiorata degli interessi.
A quanto ammontano gli interessi dovuti dal debitore?
Gli interessi dovuti dal debitore si definiscono “scalari” ovvero si calcolano di mese in mese sulla somma ancora dovuta per l’estinzione del debito, detratti gli importi già versati.
Quando devono essere pagati gli interessi?
Generalmente il Giudice dispone che gli interessi scalari siano accorpati all’ultima rata.
Come vanno pagati i 5/6 del credito ancora dovuti dopo il versamento della prima rata di 1/6?
Quando le cose pignorate siano costituite da beni immobili o cose mobili il Giudice dell’esecuzione può disporre con lo stesso provvedimento, qualora ricorrano giustificati motivi, che il debitore versi la somma stabilita, maggiorata dei relativi interessi, con una rateazione massima di 36 mesi per le procedure iniziate anteriormente al 13 febbraio 2019 e di 48 mesi per le procedure iniziate dopo la predetta data.
Che cosa si intende con l’espressione giustificati motivi?
Con tale espressione s’intende una situazione di obiettiva difficoltà economica del debitore, documentata e argomentata, che meriti la concessione di una rateazione.
Cosa accade se il debitore non paga una delle rate successive alla prima?
Le norme sul punto sono implacabili.
Qualora il debitore non paghi anche solo una delle rate successive alla prima o vi provveda con un ritardo superiore a quindi giorni, a richiesta del creditore pignorante o di un creditore intervenuto, purché munito di titolo esecutivo, il Giudice dell’Esecuzione revoca l’ordinanza di concessione della conversione. Conseguentemente le somme già pagate resteranno assegnate ai creditori e si procederà alla vendita forzata del bene oggetto di espropriazione.